15 giorni prima del mio intervento
foto del 3 ottobre 2021– fotografa Sara Ottanà
Torno al blog dopo parecchi mesi, dopo un periodo difficile e complesso. Ho scelto, oggi 19 aprile, perché sono esattamente 6 mesi dal mio intervento. A fine luglio avevo iniziato a non sentirmi bene. Dopo varie cure non risolutive, il 18 agosto 2021 sono andata al pronto soccorso dell’ospedale di Piario. Erano un po’ di giorni in cui avevo un dolore fortissimo, era iniziato dalla schiena ma poi si era spostato sul torace. Non avevo nient’altro, solo dolore. Non avevo tosse, raffreddore, febbre, nulla, solo questo dolore notte e giorno.
Così la sera del 17 agosto chiamai la guardia medica di Gromo e dopo avermi visitata decisero di portarmi in ospedale per ulteriori controlli. Fu lì che mi fecero una lastra e mi diagnosticarono una polmonite. Non era una polmonite da Covid ma comunque era da curare con antibiotici per una decina di giorni. Dalla lastra però emerse anche un nodulo al lobo inferiore del polmone sinistro che aveva bisogno di ulteriori accertamenti, abbastanza urgentemente, appena terminato l’antibiotico. Capii che quel nodulo non era nulla di positivo da come me lo disse la dottoressa che mi dimise quella notte.
E’ un tumore, maligno
Dieci giorni dopo ero all’ospedale Multimedica di Castellanza per la Tac. Avrei dovuto ritirare l’esito qualche giorno dopo ma venni chiamata a casa prima del previsto: dovevo andare a ritirare l’esito ma avevano bisogno di parlarmi. Fu in quella stanza di ospedale che ebbi la conferma che il nodulo era un tumore, dalle fattezze sicuramente maligno. Sotto la mascherina mi venne l’istinto di piangere ma ricacciai indietro le lacrime perché non avevo alcuna intenzione di far vincere lui. Quando ti dicono che hai un tumore non è una passeggiata, è una botta allucinante, perché è una patologia che lascia poche speranze, al polmone poi ancora meno perché è certamente tra i più nefasti ma non ho mai pensato nemmeno per un attimo di abbattermi, di non lottare.
La settimana successiva iniziai a fare avanti e indietro per ospedali tra visite ed esami fino al mio ricovero del 18 ottobre. Nei giorni precedenti, il 14 ottobre e il 15 ottobre eravamo stati al Salone Internazionale del libro di Torino cercando di goderci questa prima fiera in presenza il più possibile. Volevo lasciare a mio figlio un bel ricordo, prima del mio ricovero, così abbiamo trascorso qualche giorno tra libri e amici.
Il 18 ottobre sono stata ricoverata alla Multimedica di Sesto San Giovanni e il 19 ottobre ho subito un intervento di 4 ore e mezza. Lo staff del Professor Incarbone è stato fantastico. Il dottor Alberto Meroni, il dottor Massimo Castiglioni e il professore Matteo Incarbone mi hanno salvato la vita. In un periodo in cui i medici sono sempre sotto accusa, soprattutto sui social, io all’IRCCS Multimedica di Sesto San Giovanni ho trovato competenza, professionalità e umanità e trovare questo ambiente mi ha aiutata tantissimo a non abbattermi.
Avere il tumore non è una vergogna
Nei mesi che hanno preceduto l’intervento ho parlato della mia malattia sul mio profilo Facebook e mi sono resa conto che in fondo in fondo è ancora un argomento tabù. Chi ne soffre ne parla molto raramente, come fosse una vergogna ma non lo è… il tumore è una malattia e fa parte della vita. Non dobbiamo vergognarci di essere malati, in realtà siamo in tanti che quotidianamente combattiamo contro il nostro mostro. Forse potremmo aiutarci? Farci forza a vicenda? Il tumore è una malattia fetente, subdola ma non dobbiamo avere paura di parlarne, non dobbiamo aver paura di chiamarlo con il suo nome, non dobbiamo vergognarci di niente.
Io sono una persona molto autoironica e quando ad esempio ho fatto la PET e sono scesa nel reparto di medicina nucleare, pensando a quando mi avrebbero dato il radiofarmaco mi immaginavo stile Wonder Woman. “Adesso appena il radiofarmaco entra in circolo, giro su me stessa come Linda Carter nel telefilm e iniziano a venirmi fuori i superpoteri”. La mia autoironia mi ha aiutata tantissimo così come l’affetto di chi fa parte della mia vita a vario titolo.
La parte più difficile
Nei giorni precedenti Null era teso perché mi vedeva andare avanti e indietro per ospedali senza riuscire a capire cosa stesse succedendo. Dal momento che gli ho detto la verità e ha preso consapevolezza di ciò che avevo mi è sembrato “liberato”, più “leggero” pur rimanendo, ovviamente, preoccupato per me. Nei giorni seguenti ogni tanto mi faceva qualche domanda, mi esponeva qualche suo dubbio, che ho sempre accolto cercando di rispondere nel modo più esaustivo possibile.
La parte più difficile è stata dirlo a mio figlio perché ho sempre cercato di proteggerlo e quindi avevo paura di caricarlo di un peso troppo pesante per la sua età ma dovendo stare in ospedale una settimana dovevo comunque dare una spiegazione. Pur avendo in casa albi illustrati meravigliosi come “Da quando è arrivato Lallo” di Eva Montanari, pubblicato da Kite Edizioni, ho preferito non usare libri ma dirglielo con parole mie, accogliendo ogni sua domanda ed emozione. Pur occupandomi di promuovere la lettura ci sono situazioni dove lascio i libri da parte, dove preferisco non usarli, perché credo che nulla possa sostituire la potenza delle parole quando vengono dal cuore.
Durante il mio ricovero, per quasi una settimana, ho visto mio figlio in video chiamata e ho cercato di stargli vicino per come mi era possibile. Percepivo la sua tristezza, il suo sforzo di fare “l’ometto”, di non farsi abbattere. Avevo cercato di creargli una “bolla” che gli facesse trascorrere le sue giornate nel modo più normale e sereno possibile, tra scuola, sport e libri ma alla sera, quando tornava a casa e trovava solo il papà, la tristezza prendeva il sopravvento. Mi mancava poterlo abbracciare e dirgli “tranquillo, andrà tutto bene” ma le video chiamate hanno sicuramente accorciato la distanza fisica.
Paura e coraggio sono facce della stessa medaglia.

foto del 29 novembre 2021 – fotografa Sara Ottanà
Il 22 ottobre, quando mi hanno dimessa mi hanno consegnato il foglio delle dimissioni in cui per la prima volta ho letto “neoplasia polmonare” e a quella parola ho pianto, ho pianto come non avevo mai fatto prima perché ce l’avevo fatta. Cazzo ce l’avevo fatta davvero. Almeno questa battaglia l’avevo vinta io.
Potevo tornare a casa stordita, affaticata, piena di dolore, con un corpo che aveva due cicatrici in più, dei chili in più dovuti al cortisone e un polmone che mi faceva desaturare spesso ma ero viva. Oh cazzo se ero viva. Ho saputo solo successivamente, dall’esito della biopsia che avevo fatto il 18 ottobre 2021, che era un grado 3 e che lo avevamo preso davvero in tempo. Il fetente era piccolo ma aggressivo.
Dopo l’intervento ho provato dolori fortissimi, ho trovato difficoltà nel fare le più piccole cose, mi sono sentita debole, fragile. Il mio cervello voleva fare mille cose mentre il mio corpo seguiva un’altra marcia, con altri ritmi. Ho fatto pace con le mie paure, prima dell’intervento ero terrorizzata e lo dissi chiaramente ai medici che mi avevano in cura. “Sono terrorizzata”. Così, semplicemente. Perché avrei dovuto vergognarmene? Sono umana e in quanto tale ho delle debolezze, ho delle paure, sono un vulcano di emozioni. Sì sì ho avuto paura, paura di morire, paura dell’intervento, paura di non farcela. E ho paura anche adesso che sono passati sei mesi, ho paura dell’esito delle tac e dei controlli, la paura è sempre lì ad ogni esame, ad ogni visita.
Non c’è nessuno che possa darvi la forza che cercate, nessuno, anche tra le persone che vi amano tantissimo, che potrà capire cosa provate, perché ognuno di noi combatte la propria battaglia in modo diverso, perché in queste situazioni bisogna trovarcisi e a volte non basta nemmeno quello.
Da allora ho imparato a lasciar correre le persone stupide e cattive che incontro nella vita, a farmi scivolare le scemenze, le cose superflue, e a trattenere nella mia vita solo le persone e le cose belle. Cosa ci può essere di più importante della vita stessa? Del poter vivere ogni giorno nel modo più sereno possibile? Nel poter vivere ogni giorno? Nel poter baciare e abbracciare le persone che amiamo?

foto del 4 aprile 2021 – fotografa Sara Ottanà
Se avete accanto una persona malata e non sapete cosa dirle, non ditele nulla…abbracciatela stretta perché gli abbracci fanno parte di una lingua universale, che non ha bisogno di tante parole, che tutti comprendiamo, una lingua chiamata Amore!